Introduzione

Par Océane Boudeau, Fañch Thoraval et Luca Gatti
Publication en ligne le 11 mai 2023

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Texte intégral

1Accertare la prevalenza del riferimento alle auctoritates, nella cultura dell’Europa medievale e rinascimentale, anche alla luce del perpetuo richiamo alla memoria collettiva, è diventato un vero e proprio truismo. Molteplici sono le dinamiche soggiacenti a tali fenomeni – già enucleate e messe in evidenza dalla bibliografia recente1 –, che però, a ben vedere, si potrebbero finanche riassumere nella celeberrima formula attribuita a Bernard de Chartres: «siamo come nani sulle spalle di giganti». Sulla circolazione delle opere (di qualsiasi natura) sono stati versati i proverbiali fiumi di inchiostro, comunque utili a mostrare la diversità dei luoghi di scambio culturale e controbilanciare una rappresentazione vulgata, eccessivamente statica, del Medioevo. Ora, l’approccio di tali studi ha privilegiato il punto di vista geografico e umano: gli individui, pertanto, sono considerati alla stregua di vettori, utili a consentire il movimento di un oggetto (o di un concetto) da un punto dello spazio all’altro. L’associazione quasi apodittica di questi spazi con culture specifiche – entrambi percepiti come entità discrete – non ha mancato di sollevare varie questioni, se non altro per la difficoltà insita nel definire chiaramente i termini e le realtà che essi verrebbero a indicare2. Tutto considerato, nell’ottica dei movimenti nello spazio o nel tempo, lo studio della circolazione dei prodotti culturali nel Medioevo e nel Rinascimento affronta problemi non dissimili da quelli intercettati dalla nozione di “transfert culturale”, introdotta da Michel Espagne e Michael Werner: quest’ultima, nonostante la sua aspirazione a trascendere la dimensione strettamente geografica dei confini nazionali, non è però sempre stata in grado di oltrepassarla3.

2In una civiltà in cui i saperi comuni, trasmessi sia oralmente sia per iscritto, sono costantemente rimodellati e dove le nuove creazioni (letterarie, musicali, liturgiche o altre) affondano il più delle volte le radici in materiali preesistenti, talvolta molto più antichi, il problema della trasmissione si pone però al di là del concetto di cultura, quantunque l’emersione delle tecniche e dei saperi sottostanti alla produzione non sembri scindibile – dacché ne costituisce quasi una stretta risultanza – dalla circolazione delle stesse opere. Per quanto riguarda gli oggetti poetico-musicali, in particolare, tali questioni rimangono relativamente poco affrontate.

3Il presente numero tematico della rivista franco-italiana Textus & Musica accoglie una parte delle comunicazioni presentate alle Giornate di Studi Circolazione e scambi di tecniche e saperi, musicali e letterari, dal Medio Evo al Rinascimento (27-28 gennaio 2022, in rete, organizzate da Océane Boudeau, Luca Gatti e Fañch Thoraval). Senza trascurare le modalità di trasferimento più conosciute – ad esempio, riprese formali, citazioni, parafrasi, contrafacta –, il volume mette al centro dell’attenzione l’oggetto musicale e/o letterario, considerato esso stesso come veicolo di tecniche, specie al rilevamento di fenomeni di trasmissione o di scambio pur a diversi livelli, anche con lo scopo di osservare le manifestazioni del transfert musico-letterario dal punto di vista dell’artefice.

4Com’è ovvio, il campo d’osservazione di tali transferts è oltremodo vasto e, per molti aspetti, arriverebbe a coprire l’intera produzione musico-letteraria. Il volume, vien da sé, non mira né all’esaustività né, tantomeno, a offrire una panoramica di tali fenomeni: più umilmente, si è cercato di mettere a profitto un obiettivo peraltro dichiarato dalla stessa rivista Textus & Musica, vale a dire lo stimolo di un «dialogo tra le discipline filologiche e musicologiche», proprio al fine di discutere alcuni casi di particolare rilevanza, che possano mettere in luce i diversi milieux entro cui sono circolate tecniche e conoscenze poetico-musicali. I contributi qui accolti riflettono due approcci distinti: uno adotta il punto di vista di un corpus specifico, l’altro quello delle opere stesse. Quanto al primo, notevole è l’escursione dei corpora presi in esame: basti dire che, oltre ai canzonieri e alle testimonianze offerte dalla trattatistica, sono oggetto di considerazione le fonti epistolari e romans. Quanto al secondo, invece, i contributi – pur discorrendo di tecniche ben conosciute (fra cui, ad esempio, ritmo e scansione) –, enucleano una serie di pertinenze assai eterogenee: canzoni, sonetti, madrigali, mottetti, nonché canto piano.

5Il saggio di Mary Channen Caldwell (‘To his beloved friends...’: The epistolary art of song in medieval France) si rivolge, in particolare, alla poesia e alla canzone latina trasmessa dagli scritti epistolari. Ancora poco conosciute dai musicologi, tali fonti, per quanto prive di notazione, sono in ogni caso di grande interesse, specie per comprendere le modalità di composizione, diffusione e fruizione (soprattutto esecutiva) di questo repertorio. Due fonti sono di supporto a questo studio: il Liber epistularum di Gui de Bazoches e una collezione composita ove confluiscono più lettere in versi (Paris, BnF, lat. 15131). La trasmissione della canzone latina, il cui confine con la poesia risulta essere molto fluido, sembra dunque seguire percorsi anche diversi da quelli conosciuti attraverso i soli manoscritti dotati di notazione. Le relazioni familiari, amichevoli e pedagogiche, di cui queste fonti lasciano intravedere la ricchezza, costituiscono pertanto i vettori immateriali.

6Pascale Duhamel (L’attribution dans les manuscrits musicaux de trouvères: la circulation d’une idée) si interroga sull’emergere di indicazioni autoriali e la loro stessa circolazione, concentrandosi in particolar modo sui manoscritti musicali della tradizione lirica in lingua d’oïl. Appoggiandosi sul concetto foucaultiano di «fonction auteur», indotto da queste attribuzioni – indipendentamente della loro autenticità –, l’autrice analizza gli elementi di «répétition et redondance» nella mise en page tipica di un nucleo ristretto della tradizione manoscritta. Sulla base di queste osservazioni paratestuali, la studiosa estende la summenzionata “funzione” delle rubriche all’insieme delle componenti musico-testuali, la cui diffusione in altri manoscritti suggerisce fra l’altro «un moment significatif de l’histoire de la lente élaboration de la notion de compositeur».

7Emmanelle Dantan (Voix féminines, mémoire et circulation des chansons de trouvères dans les romans des xiiie et xive siècles en langue d’oïl), proprio a partire da un aspetto inerente ai romans con inserzioni liriche, tanto noto quanto complesso (cioè l’equilibrio fra i due generi: lirico e romanzesco), arriva a proporre un taglio assai innovativo: il suo intervento mira infatti a delucidare il ruolo possibile delle figure femminili che in tali romanzi spesso e volentieri introducono canzoni liriche (il più delle volte in forma abrégée). A mo’ di chanteuses, voci muliebri sono così chiamate a interpretare delle canzoni cortesi, associate tradizionalmente, com’è noto, a voci maschili: la non trascurabile quantità dei riscontri – vagliati peraltro alla luce di un esaustivo studio quantitativo, anche comparato – parrebbe consegnarci un’idea meno stilizzata di quella offerta dai canzonieri, dove l’autorialità femminile, fra l’altro, è certamente minoritaria rispetto a quella maschile.

8Pratica a larga diffusione, riscontrabile in numero non irrilevante di culture musicali e pur di epoche vari è la contraffattura, ovverosia l’elaborazione di un nuovo binomio poetico-musicale a partire da una pregressa fonte melodica (e testuale). Florence Mouchet (Reflets du “contrafactum” dans le discours poétique et rhétorique ibéro-roman: circulation et réception d’une pratique), in particolar modo, si interessa alla circolazione e ricezione della pratica proprio alla luce di ciò che dicono i trattati teorici d’area iberica inerenti all’ars trobadorica: ciò che qui si vuole sondare, in ultima analisi, è il rapporto fra teoria e pratica (o meglio viceversa, fra pratica e teoria).

9Le due voci di Giovanna Santini e Giorgio Monari (Sitot me soi a tart aperceubuz di Folquet de Marselha: un modello ‘sonoro’ per Giacomo da Lentini), riprendendo e affrontando da un punto di vista nuovo la questione del cosiddetto “divorzio” fra poesia e musica nella tradizione lirica in lingua di , propongono un’analisi di Sì como ’l parpaglion c’à tal natura di Giacomo da Lentini alla luce del suo modello provenzale, cioè Sitot me soi a tart aperceubuz di Folquet de Marselha. Ben rilevate sono alcune corrispondenze non solo lessicali, ma anche e soprattutto inerenti allo stesso tessuto metrico-rimico4: il testo del Notaro, infatti, «avrebbe potuto essere cantato quasi come il suo modello (o con una melodia derivata, almeno in parte), con un esito che si dimostra soddisfacente anche ad una sperimentazione diretta».

10Kévin Roger (Une œuvre latine d’un autre temps chez Nicolas Grenon: la séquence “Lætabundus” et le motet isorythmique “Ave virtus virtutum), dal canto suo, affronta il problema del riuso di materiali liturgici nei mottetti isoritmici del primo Quattrocento. L’oggetto di studio del contributo è costituito da un mottetto di Nicolas Grenon, ove si constata l’adattamento di una sequenza come cantus firmus – caso del resto abbastanza singolare –: è dunque presa in esame l’articolazione delle proprietà ritmiche e metriche della poesia latina a confronto di quelle del tenor. L’analisi di Roger porta a identificare, nella sequenza, un’eco della tradizione vernacolare – nei termini sia di scansione sia di versificazione –, che perdura e permane finanche nel cantus firmus. Il gesto del compositore, in altri termini, sembra ascondere il transfert di saperi poetico-musicali fra àmbiti vernacolari e liturgici.

11Nel contributo di Cristina Cassia (Séverin Cornet e “Quant je pense au martire”: circolazione e ricezione di una canzonetta di Pietro Bembo) viene affrontato un aspetto della ricezione e riscrittura dell’opera di Pietro Bembo in altro contesto linguistico e culturale. La canzone Quant je pense au martire di Séverin Corvet, pubblicata nel 1575, il cui testo è una particolare traduzione francese della bembesca Quand’io penso al martire, mentre la melodia è attinta da un madrigale di Jacques Arcadelt, ci offre infatti un bell’esempio – del tutto fecondo – di passaggi e incroci testuali (al contempo verbali e musicali).

Notes

1 Cfr., ad esempio, Auctor et auctoritas. Invention et conformisme dans l’écriture médiévale. Actes du Colloque tenu à l’Université de Versailles-Saint-Quentin-en-Yvelines (14-16 juin 1999), ed. Michel Zimmermann, Paris, École des chartes, 2001.

2 Cfr. Marco Mostert, «Introduction», Les échanges culturels au Moyen Âge. Actes du XXXIIe Congrès de la SHMES (Université du Littoral Côte d'Opale, juin 2001), Paris, Éditions de la Sorbonne, 2002, pp. 9-21.

3 Cfr. Transferts. Les relations interculturelles dans l’espace franco-allemand (xviiie-xixe siècles), ed. Michel Espagne, Michael Werner, Paris, Éditions Recherche sur les Civilisations, 1988; Michel Espagne, Les Transferts culturels franco-allemands, Paris, PUF, 1999; Id., «La notion de transfert culturel», Revue Sciences/Lettres, 1, 2013 [URL: http://journals.openedition.org/rsl/219, caricato il 1° maggio 2012, consultato il 31 marzo 2023].

4 Sulla conduzione rimica da un contesto linguistico a un altro – la rima, dunque, come binomio inscindibile di tecnica e cultura –, imprescindibile è il rimando a Giovanna Santini, Tradurre la rima: sulle origini del lessico rimico nella lirica italiana del Duecento, Roma, Bagatto, 2006.

Pour citer ce document

Par Océane Boudeau, Fañch Thoraval et Luca Gatti, «Introduzione», Textus & Musica [En ligne], Les numéros, 5 | 2022 - Circulations et échanges des technicités et des savoirs musicaux et littéraires au Moyen Âge et à la Renaissance, mis à jour le : 29/10/2024, URL : https://textus-et-musica.edel.univ-poitiers.fr:443/textus-et-musica/index.php?id=2652.

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